Gabriella Caramore ha scritto un bel libro intitolato Pazienza, ricchissimo di spunti su molti temi, dalla concezione del tempo ad una certa idea di cristianesimo... Ma il tema fondamentale è appunto la pazienza. Cosa è? La capacità di rassegnarsi davanti alle difficoltà senza disperarsi, sapere accettare tutto ciò che accade? Questo sembra essere il significato corrente, sintetizzato nella frase in cui noi sospirando esclamiamo “Pazienza”, quando ad esempio non possiamo ottenere ciò che vogliamo, oppure perdiamo qualcosa.
Ebbene no, la pazienza è una virtù ben diversa dalla rassegnazione (che non è una virtù). Partiamo allora dai filosofi greci, che in più occasioni parlano della pazienza come virtù legata al coraggio, il coraggio come capacità di valutare le cose da temere e da osare (Platone, nel Lachete), e d'altronde già Omero aveva descritto Ulisse come eroe della pazienza, l'uomo che affronta ogni prova perchè sa che ha un obiettivo da raggiungere. In tante occasioni Ulisse dimostra di sapere resistere alla forza delle sue emozioni, siano esse la paura o la collera, fino al momento finale, quando trattiene l'ira a vedere il comportamento dei Proci alla sua corte (“Cuore, sopporta...”) per portare a compimento il suo piano nel momento e nel modo giusto.
Piano piano quindi il discorso sulla Pazienza si amplia, diventa discorso sulle passioni, sulla capacità di accordare le azioni e le decisioni degli uomini ai ritmi reali della storia e della vita. E l'autrice si muove nel campo che le è più congeniale, quello della riflessione biblica e religiosa, spaziando nella tradizione sufi, vedica, buddista.
Né Mosè né Giobbe sono uomini passivi, immobili, anzi sono dinamicissimi, ma conoscono il tempo e sanno controllare il proprio cuore. Quando occorre. Perchè di fronte all'ingiustizia Mosè è anche capace di uccidere, senza pensarci due volte.
La conclusione ci porta ad una nuova visione della pazienza, che incrocia la speranza, perchè ha senso solo se si nutre di una speranza, vera, fondata, e sostiene l'amore, perchè diventa Cura, cioè disposizione verso l'altro. La Cura, il nostro saperci chinare, protendere, verso l'altro, è l'altro nome della Pazienza, per Gabriella Caramore, e mi ha convinto.
Appendice. Il mito della Cura, riportato da Martin Heidegger in Essere e Tempo.
"La cura stava attraversando un fiume quando scorse del fango cretoso. Pensierosa, ne raccolse un po' e cominciò a dargli forma".
Mentre stava riflettendo su cosa avesse fatto, interviene Giove. A questo punto, la cura prega Giove di infondere lo spirito a ciò che essa ha fatto senza però sapere cosa sia. Giove acconsente volentieri, però poi la cura pretende di imporre il nome a ciò che ha fatto e Giove non è d'accordo. Mentre Giove e la cura litigano interviene la Terra che reclama il battesimo di ciò che è stato fatto in quanto parte del suo corpo, il corpo della Terra. I disputanti eleggono Saturno, il Tempo, come giudice. La decisione di Saturno, incontestabile, è la seguente: Tu, Giove, hai dato lo spirito e al momento della morte riceverai lo spirito; tu, Terra, hai dato il corpo e riceverai il corpo; poiché per prima fu la cura che diede forma a quest'essere, finché esso vive lo possieda la cura. Per tutta la vita l'uomo è l'essere della cura e visto che proviene dalla Terra, dall'humus, il suo nome è homo".