La città teatro, ovvero Santo Parisi, carnevale, e il grande palcoscenico.
Carnevale è arrivato e se n'è andato, Santo Parisi se n'è andato e basta.
Ma tanti pensieri restano. E immagini, di sfilate, maschere, trucchi straordinari e costumi sontuosi, ma più in generale la memoria non scrivibile e nemmeno visibile, di una città popolata di “personaggi”, quelli della tradizione orale, gli Emanuele Bonanno e i Santo Parisi, e i tanti altri. Ecco, personaggi di una città che sapeva essere ancora teatro, palcoscenico di una vita in cui il confine tra pubblico e privato non era rigido ed ingessato come adesso. Quella città, quella società, era un luogo in cui i caratteri convivevano accostando ceti sociali e livelli culturali, non confondendoli, anzi spesso marcandone le differenze anche con evidenti elementi simbolici, ma tenendoli vicini, diventando essa stessa, la città, il grande palco, la sintesi delle differenze.
La città teatro è un mondo in cui ciascuno vive il proprio ruolo e sa che deve rispettarlo se vuole restare della compagnia, se vuole aver parte, il prezzo, altrimenti, è l'esclusione, il prezzo di chi non accetta il ruolo, non sa stare al gioco.
In quella città carnevale ha un senso tutto suo, è l'espressione massima della teatralità, il momento in cui anche il gioco delle maschere che dura tutto l'anno può essere stravolto, ma anche quello diventa una parte recitata per un atto, un intermezzo, un coro. Non può esistere un carnevale vero, sincero, in una città che non sa essere teatro tutto l'anno. L'alternativa è un carnevale spettacolo, balli, maschere, un po' di allegria di mestiere. Ma non c'entra niente con il carnevale vissuto da un'intera comunità, un carnevale di protagonisti e non di spettatori.
Rifondare la città teatro è possibile? Forse si, se accettiamo che sarà diversa come è diverso tutto ciò che vive, mai uguale a se stesso. Forse si, nel senso di una città in cui non vi sia una divisione netta tra lo spazio del fuori e del dentro, del pubblico e del domestico, sarà una città che deve sapersi mettere in gioco, acquisire il ritmo e la sintassi dell'ironia e del dramma, e non praticare esclusivamente quelli dell'indifferenza e della rabbia.
L'ironia senza sconti e senza sguaiatezze che esercitava Santo, al quale bastava muovere il baffo o ondeggiare la spalla per prendersi la scena, ed ora, con un colpo da maestro, ne è uscito lasciandoci di stucco.