Il mio intervento all'incontro con Rosy bindi di giorno 5 maggio.

Buonasera a tutti.

Sono felice di accogliere tutti quanti hanno condiviso il bisogno e il desiderio di affrontare un tema così importante come il legame tra la legalità e lo sviluppo delle nostre comunità, e di farlo provando ad avere uno sguardo ampio, tracciando una prospettiva che ci mostri la condizione attuale e quale possa essere il ruolo di ciascuno, nell'idea che il primo strumento della lotta alla mafia è la coesione sociale, l'attuazione piena, o lo sforzo perchè vi sia l'attuazione piena, del dettato costituzionale, dal diritto all'uguaglianza, allo studio, alle libertà civili, al lavoro. Quindi benvenuti a tutti.

Appartengo alla generazione che avvertiva la presenza concreta, reale, fisica della mafia, negli anni dell'infanzia, dalla teoria dei morti ammazzati sulle nostre strade, quella generazione le cui memorie estive alternano i ricordi dei Campionati mondiali o delle Olimpiadi con le terribili stragi, Chinnici, Dalla Chiesa, Giuliano, Montana, Cassarà, Agostino, Livatino, Libero Grassi. Ognuno di questi nomi è per me, ragazzino, il ricordo di una pausa dai giochi, un'edizione straordinaria del tg, o del giornale radio, una maledetta foto in più da conoscere.

E quegli anni hanno formato una reazione emotiva, morale, fortissima, mentre per fortuna nelle Scuole gli insegnanti ci spiegavano, ci istruivano, facendo uscire i nostri sentimenti dal recinto dell'indignazione per farli diventare conoscenza, speranza, azione, progetti di vita, per molti di noi.

E in tutti questi anni alla Scuola va dato il merito di avere tenuto ben ferma una direzione educativa che non si è mai fatta confondere, nemmeno dalla politica, invece spesso confusa, ottusa, quando non collusa.

La sfida quotidiana per l'affermazione della legalità è ancora oggi la missione principale di chi vuole lo sviluppo della nostra terra. Ma con la consapevolezza che cambiano i modi, gli interessi, le articolazioni del fenomeno mafioso. Dalla mia postazione di sindaco, che questa comunità la rappresenta tutta, posso affermare con certezza che si è indebolita l'accondiscendenza culturale alla mentalità mafiosa, che oggi i mafiosi, ancora forti, presenti, nel controllo del territorio, nel racket che indebolisce la forza imprenditoriale, nella volontà di condizionare i settori economici più redditizi, sono più soli socialmente. La Pubblica Amministrazione è, in questo contesto, il primo baluardo di legalità. Innanzitutto con l'efficienza, cioè con un rapporto sano con il cittadino, improntato alla logica dei diritti e dei doveri, senza zone grige. Il Comune è di certo il primo punto di contatto tra il cittadino e le istituzioni, e quindi a noi tocca di dare la prima dimostrazione che il sistema delle regole, la cosiddetta burocrazia, non è un dispositivo vessatorio, ma una garanzia di uguaglianza e rispetto, però occorre anche rafforzare i legami tra tutte le figure istituzionali del Paese e della Regione, tra tutti gli uffici che al cittadino dovrebbero più spesso dare risposte, anziché far proliferare le domande.

Efficienza, trasparenza, soprattutto nei punti chiave in cui si muovono risorse economiche. Abbiamo fatto sforzi enormi per fare uscire il sistema dei rifiuti dalla zona grigia creata dall'emergenza continua, dai rapporti personali, dall'imprecisione delle responsabilità. Non ci siamo ancora riusciti del tutto. Ma su questo fronte permettetemi di dire che spesso i Sindaci ci siamo sentiti soli, molto soli. E la prova, forse, è che mentre noi lavoriamo a dare stabilità al sistema, la Regione chiede ancora una volta un provvedimento emergenziale...

Una voce sola, deve essere quella delle istituzioni, si chiamino Sindaco, Prefetto, Procura, Forze dell'ordine, una voce sola. Ancora oggi dobbiamo ricordare ai giovani siciliani che la mafia non è solo il giovane spacciatore, l' estortore in motorino, il giovane gradasso che pensa di dimostrare il suo potere ricorrendo ai simboli del cinema o della televisione, ma che fianco a fianco con ciascuno di noi, a Paternò come a Milano o a Roma, ma a Paternò, di certo, vivono i commercialisti che faranno le dichiarazioni dei redditi alle ditte mafiose, i medici, che curano i latitanti, professionisti, fornitori, artigiani, uomini e donne comuni che pensano che non avere sangue sulle mani significhi averle pulite, e invece no.


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