NAPOLI, 8 NOVEMBRE 2019

L’esame delle proposte di intesa sull’autonomia differenziata riguardo la scuola inducono a fare tre ordini di considerazioni.

Il primo è di carattere, per così dire, burocratico-amministrativo, cioè l’esame di quali competenze sono attualmente decentrate e quali centralizzate e come le intese proposte cambierebbero lo stato attuale di cose. La riforma del titolo V della Costituzione ha già collocato l’istruzione tra le materie di competenza concorrente, cioè tra quelle materie la cui competenza non appartiene esclusivamente né allo stato né alla regione. La legislazione attuale precisa altresì che le competenze riguardo l’organizzazione della rete scolastica sono certamente regionali, mentre quelle che riguardano i servizi per l’inclusione e il diritto allo studio appartengono agli enti locali, comuni e provincie, oltre che alle stesse regioni. La forza di queste norme è dimostrata dal frequente ricorso alla Corte Costituzionale da parte delle regioni, per contestare la legittimità di norme statali su aspetti riguardanti appunto l’edilizia scolastica, l’assegnazione di fondi ministeriali sul territoriali, l’organizzazione di servizi.

Nel quadro costituzionale, peraltro, l’autonomia scolastica è considerata come un tassello preciso dell’impalcatura istituzionale del sistema scolastico. È l’autonomia degli istituti che già oggi consente di sviluppare un rapporto concreto e specifico con il territorio, a ogni singola istituzione scolastica, senza dovere ricorrere ad un altro livello, regionale. Nella richiesta delle regioni di avocare a sé maggiori competenze c’è evidentemente anche una sottovalutazione del senso dell’autonomia scolastica, del lavoro compiuto in questi decenni dai Dirigenti e dalle Comunità Scolastiche dando vita anche, in molti casi, a reti territoriali capaci di importanti esperienze.

In definitiva le regioni possono vantare già a legislazione vigente un ampissimo campo di competenze sull’istruzione, che davvero non sembra giustificare la richiesta di trasferire loro questa materia

Allarghiamo dunque il nostro ragionamento dal tema delle competenze a quello delle risorse e delle scelte, per così dire, politiche. Perchè introdurre o no l'istruzione, quindi la spesa per l'istruzione, tra le materie dell'autonomia significa anche, forse soprattutto, dovere decidere quante risorse destinarle, per verificare poi se queste risorse sono da comprendere tra quelle derivanti dalla fiscalità regionale o vanno perequate o sottratte alle entrate statali. I dati ci parlano di una grande disparità nelle risorse destinate complessivamente all’istruzione da regione a regione, ma di una disparità che pende a favore, per così dire, delle regioni del centro-nord. Se osserviamo più attentamente i dati della spesa però scopriamo che la differenza di risorse tra le varie regioni non è dovuta alle scelte centrali, ma è proprio l’effetto del profondo intervento degli enti locali, dalla regione ai comuni, nelle diverse regioni. In pratica i dati sull’impiego delle risorse ci dicono che laddove regioni o enti territoriali abbiano scelto di investire risorse sulla scuola lo hanno potuto fare, possono farlo, e gli effetti sono ben visibili già ora. Ancora una volta risulta difficile comprendere le ragioni della regionalizzazione anche analizzando il livello politico delle decisioni.

L’analisi dei dati semmai ci porta a svolgere un’altra considerazione, cioè l’inadeguatezza dell’uso delle medie statistiche su base regionale per fare un ragionamento completo sulla scuola. Se i dati per regione si disaggregano, infatti, emerge la distanza che in molte regioni esiste tra le scuole dei centri urbani e quelle delle zone montane, la difficoltà delle scuole collocate nelle aree interne del paese, al nord come al sud, le complessità particolari delle scuole nelle aree esposte a forti processi migratori, siano essi di emigrazione come di immigrazione. Alla specificità di questi temi non serve un livello regionale di decisione e di intervento, quanto piuttosto una politica generale che si occupi dei temi del reclutamento di Dirigenti e Docenti e del loro ruolo in aree oggettivamente svantaggiate dell’Italia, distanti geograficamente quanto simili per problemi e difficoltà.

Allora occorrerebbe svolgere una riflessione su un terzo livello, quello culturale, l’idea stessa della funzione della scuola nella società contemporanea, perchè l’impressione è che la proposta della regionalizzazione, cioè dell’ulteriore frammentazione del sistema formativo, in una società italiana che i più recenti documenti dello Svimez disegnano come già terribilmente disgregata e impoverita, rispecchi la concezione di una scuola che si fa specchio dell’esistente, dei limiti e delle povertà del presente. Noi operatori della scuola vediamo invece ogni giorno nelle nostre aule l’immagine di una società diversa, vediamo la possibilità di un futuro fatto di inclusione, di giustizia, di speranza, e crediamo che sia proprio la scuola il luogo in cui si progetta e si prefigura il futuro, crediamo che sia la società a poter diventare, domani, quello che la scuola è già oggi.

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