Da 15 mesi sono il sindaco di Paternò, una responsabilità grande, un impegno assorbente, una cosa che trasforma profondamente il tuo modo di vivere, di pensare, i tuoi ritmi, insomma tutto. Ma la politica non è il mio “lavoro”, di sicuro è una cosa che fa parte di me, sono stato impegnato in movimenti, sindacati, istituzioni, partiti fin da ragazzino, ma il mio lavoro, ciò per cui ho studiato, e continuamente mi aggiorno, ciò che mi ha assicurato e mi assicurerà da vivere (salvo imprevisti), non è la politica e i ruoli che si ottengono con questa.
Il mio lavoro, l'orizzonte in cui ho sempre immaginato ed immagino la mia vita, è la scuola. Quello strano posto così bistrattato in Italia in cui davvero si costruisce e modella la società, in cui ciascuno di noi, coscientemente o no, ha formato buona parte della propria identità intellettuale, culturale, sociale.
Mentre ancora facevo tranquillamente l'insegnante, un paio di anni fa, il ministero della pubblica istruzione ha bandito il concorso per dirigente scolastico. Ho partecipato, superato la prova scritta prima delle elezioni amministrative, superato l'orale a marzo 2013, già da sindaco, studiando di notte, o quando era possibile, e così mi sono ritrovato ad essere convocato, giorno 29 agosto, insieme agli altri 170 circa vincitori del concorso, per scegliere una scuola.
La mia condizione di sindaco mi permetteva di avere la priorità, e quindi scegliere una delle 4 scuole libere a Paternò, ma non ho voluto esercitare questo diritto, per un paio di motivi. Innanzitutto perchè mi piacerebbe che il ruolo politico non influisca sul mio lavoro, nel quale sono assolutamente come tutti i miei colleghi, tra cui ci sono quelli che hanno ottenuto un voto più alto, meritano di scegliere prima di me, insomma a Paternò sarò pure il sindaco, per ora, ma per il ministero sono un insegnante o un dirigente, e basta. Il secondo motivo è che ritengo che dirigere una scuola nella città in cui sei anche sindaco sia un po' strano, crea delle sovrapposizioni anomale.
Conclusione, rinunciando al diritto della priorità nella scelta, ho atteso il mio posto, che era il 138, ed ho preso la sede più agevole, a mio parere, tra quelle rimaste: Lentini. Precisamente l'istituto comprensivo Riccardo da Lentini.
A questo punto si pone un nuovo dilemma: esercitare subito il diritto all'aspettativa, quindi non andare a lavorare finchè faccio il sindaco, o svolgere davvero l'incarico di dirigente? Non è stato facile affrontare questo dilemma, perchè in questo anno ho sperimentato che il ruolo del sindaco è totalmente assorbente, i problemi di Paternò non permettono certo una vita serena o tempi rilassati, e d'altra parte una scuola è un organismo complesso, la sua efficacia influisce sulla vita di centinaia di bambini e ragazzi... Ma nel ragionamento si è inserito un elemento di natura giuridica, cioè la necessità che il neo assunto svolga il cosiddetto anno di prova, con relativo periodo di formazione, perchè l'assunzione sia definitiva. Quindi abbiamo concordato con l'ufficio scolastico regionale che io prenda servizio e svolga il periodo di formazione e l'anno di prova, dopodichè potrò fare ciò che ritengo opportuno senza conseguenze sulla mia vita professionale.
Con queste quattro righe allora ho voluto raccontare il perchè di una scelta, che è fondamentalmente una questione privata, ma un po', come spesso accade, è anche una questione pubblica. Il romanzo di Fenoglio che porta questo titolo, per me uno dei più belli del '900 italiano, se non il più bello, ci insegna che la storia forse non è altro che una somma di questioni private, e la carica morale che mettiamo in esse fa poi la differenza anche nelle pagine della storia collettiva. Non sarò certamente il primo né l'ultimo sindaco che lavora, o che ha impegni che lo portano fuori dalla sua città per parte del giorno, e deve riuscire a conciliare i tempi e i luoghi di due impegni importanti. Ci proverò, mettendomi alla prova ancora una volta e cercando di dare sempre il meglio che mi è concesso dare. In ogni caso sarà un bel settembre, profumato di inizi, a scuola, e di qualche frutto che matura, al comune.