Che fortuna avere su tutti gli argomenti convinzioni solide e pochi dubbi. Ti resta un sacco di tempo per litigare con chi non la pensa come te, magari insultandolo. Non appartengo a questa categoria. Poi ci sono argomenti, in particolare, la cui complessità dovrebbe indurre a ragionare, piuttosto che a lanciarsi in guerre di religione.

Scuole aperte/scuole chiuse.
Si può ridurre a questa scelta il ragionamento? No.

Perchè? Perchè al termine scuola corrisponde un mondo di situazioni, esperienze, attività, incredibilmente diverse. Non si può pensare che la stessa soluzione valga per tutto. Dentro la parola scuola (e mi fermo a pensare alle scuole di primo e secondo ciclo, cioè escludo l'università) ci sono istituti professionali, la cui vita è fatta per più di metà in laboratorio, scuole artistiche, scuole dell'infanzia, scuole di piccoli paesi e scuole di metropoli. Insomma, cominciamo a dire che già scuole aperte/scuole chiuse è una mezza cretinata. Ma stringerò ulteriormente il campo, pensando solo alla realtà di una città come Paternò, e al problema delle scuole di primo ciclo.

Qualcuno può stare tranquillo ed affermare che aprire tutte le scuole (parlo sempre del primo ciclo) regolarmente non aumenta il rischio di contagio? No, è del tutto evidente che più persone escono, più persone si incontrano, più persone lavorano insieme, più rischio di contagio esiste.

La didattica a distanza può essere una soluzione a questo problema? Solo in piccola parte. Oltre al fatto che l'attività a distanza non può assolvere alla funzione educativa della scuola, che non può sviluppare un apprendimento globale, fare acquisire davvero competenze complete, per mille motivi che non mi dilungo a spiegare, ma può consentire solo l'acquisizione di conoscenze, lo sviluppo di alcune, specifiche, competenze, ci sono delle altre questioni molto gravi.

  1. La scuola primaria, e in modo ancora più importante le prime classi della scuola primaria. È impossibile ricreare a distanza un modello pedagogico adeguato per i bambini di 6/10 anni. Che i bambini di prima “elementare” non possano imparare a leggere e scrivere online, credo non ci sia bisogno di spiegarlo.
  2. Molti alunni disabili possono seguire le lezioni, anche online, solo se hanno l'assistenza di qualcuno che li guida, sia nell'uso della gestione del collegamento che delle attività. Pensare che un alunno disabile possa partecipare autonomamente alla didattica a distanza è sciocco, evidentemente. La verità è che bambini piccoli o alunni disabili possono partecipare alle attività solo se hanno a casa famiglie che hanno tempo e strumenti per dedicarsi loro e stargli accanto, tutto il santo giorno.
  3. Tutti gli alunni a rischio di dispersione, quelli con le motivazioni più fragili, quelli che già normalmente hanno una frequenza saltuaria, quelli cui la scuola dedica una particolare attenzione con progetti di recupero, quelli che hanno condizioni familiari critiche, nella didattica a distanza spariscono dai radar degli insegnanti e dell'intero sistema scolastico.

Il rischio del contagio è un motivo sufficiente, dunque,  per decidere di chiudere completamente le scuole? No, non completamente.

Si possono affrontare i punti critici, garantire il diritto all'istruzione e allo stesso tempo alla salute? È difficile, ma qualcosa si può fare. Ad esempio:

organizzare una didattica davvero integrata, che alterna giorni in presenza a giorni a distanza, riducendo così il numero di alunni presenti contemporaneamente a scuola, di persone in generale che si muovono per andarci;

assicurare la scuola in presenza prioritariamente alle classi prime e seconde della scuola primaria, consentire alle altre di alternare in modo massiccio attività a distanza ed in presenza;

ridurre in ogni caso il tempo scuola, per evitare che i bambini stiano molto a lungo con le mascherine;

assicurare in ogni caso la possibilità di frequenza a scuola agli alunni disabili, anche solo per collegarsi da scuola con l'insegnante di sostegno, quando non sia presente la loro classe;

attivare subito una rete di protezione per gli alunni a rischio, che dedichi loro attenzione la mattina, se le loro classi non hanno attività in presenza, ma anche il pomeriggio, per verificare le modalità di apprendimento, la disponibilità reale di strumenti.

Si possono decidere tutte queste cose a colpi di apro/chiudo? No.

Chi dovrebbe farle? Tutti insieme. Serve la collaborazione della scuola e delle famiglie, dei comuni che aiutino a coordinare gli interventi, a proteggere i luoghi e le persone, a prendersi cura delle situazioni più difficili dal punto di vista sociale ed economico.

Adesso, la questione è qua, davanti a noi, possiamo affrontarla nel modo pessimo delle urla o insufficiente e sbagliato dei ricorsi ai giudici, oppure possiamo ragionare insieme di quanto ci stia a cuore davvero la scuola, di cosa significhi per ciascuno di noi, di cosa possiamo fare per salvare i nostri figli da una solitudine innaturale quanto da un virus invisibile. Se posso dirlo, mi piacerebbe che quanti, come me, non hanno certezze solide su questo argomento ed hanno voglia di discutere insieme della scuola possibile, oggi, in queste condizioni, dicessero la propria, anzi, di più, che quanti a scuola ci lavoriamo diciamo a tutti cosa sta vivendo davvero la scuola, quanto rischio corrono ogni giorno gli insegnanti, soprattutto quelli della scuola dell'infanzia e della scuola primaria, quanto è difficile assicurare l'ordinaria amministrazione tra personale in quarantena e positivo, alunni positivi, classi in quarantena, e cosa vogliamo fare per salvarne la missione e l'anima.

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