- Didattica è il termine con cui indichiamo la pratica dell'insegnamento. È anche il nome che diamo alla scienza che si occupa di riflettere su questa pratica e di indagarne i meccanismi.

- Ma a noi per ora interessa la prima accezione. La didattica come pratica dell'insegnamento, ma in funzione dell'apprendimento. E l'apprendimento come obiettivo per la costruzione di uomini liberi, perché il sapere li rende liberi, perché la conoscenza permette di sviluppare ogni persona al massimo delle sue potenzialità. Negli ultimi decenni abbiamo capito quanto l'insegnamento, per funzionare, per dare vita ad un reale apprendimento, per sprigionare tutte le energie presenti in un essere umano, abbia bisogno di agire in modo globale.

- L'insegnamento non è solo trasmissione di contenuti disciplinari, anzi, abbiamo capito che quegli stessi contenuti divengono qualcosa di interiore, di acquisito, entrano nella personalità, quando l'alunna/o li fa diventare propri, è capace di utilizzarli, di portarli sempre con sé. Sappiamo, oggi, che il funzionamento della mente di ciascuno di noi è indissolubile dalla globalità delle nostre esperienze, anche fisiche, e dal contesto in cui le viviamo, sia esso familiare, sociale, storico, insomma tutto ciò in cui siamo immersi modella la nostra mente il suo contenuto e noi stessi.

- Perciò da alcuni decenni la Didattica ha lavorato all'ampliamento dei suoi strumenti, per andare oltre l'idea di un sapere che passa solo dalle parole (la spiegazione dell'insegnante, le pagine del libro), verso un sapere globale, fatto di suoni, immagini, reticoli di concetti, esperienze personali, mappe, memorie, progetti. Le nostre aule sono diventate laboratori, le nostre classi officine di sapere. Ma non sempre, non ovunque, non per tutti.

- Le nostre aule sono diventate anche trincee, linee di filo spinato, campi minati. In cui si è continuata a combattere una lunghissima guerra di posizione, tra i militi di quella scuola della parola disincarnata, fatta di lezione e valutazione (io spiego, tu ripeti, io ti metto il voto) e i militanti di una scuola del saper essere e saper fare, esposta al rischio di un sapere trasformato e tradotto dagli alunni, quindi nuovo, spiazzante a volte irriconoscibile (ma vivo).

- Dentro quella battaglia l'uso della tecnologia era considerata, a ragione, un'arma della seconda schiera, perchè in qualche modo indeboliva, quando non la demoliva del tutto, la supremazia del totem libro, che faceva tutt'uno con la supremazia del sapere scritto, dello studio sulle pagine assegnate, dell'esercizio da svolgere e così via.

- E poi arriva il virus. Qualcuno ha la brillante idea di coniare il termine Didattica a distanza, e di considerare “didattica” un'azione in cui l'insegnante, bidimensionale, può solo parlare o al massimo mostrare audio/video, un'azione in cui non esiste nessuna possibilità di interazione fisica tra gli alunni, e tra loro e l'insegnante, in cui l'apprendimento non è più un'esperienza globale e relazionale, ma individuale e verbo-visuale. Tutto questo, evidentemente, non può essere “didattica”, ma solo una sua parte, come sbucciare una cipolla non è fare il ragù, fare le scale al pianoforte non è imparare a suonare. E in tutto questo il paradosso è che la tecnologia è diventata l'arma atomica della didattica del passato. Sul campo della cosiddetta didattica a distanza combattiamo l'ennesima battaglia della lunga guerra tra il sapere che si ha e il sapere che si è, tra una scuola laboratorio di umanità e una riproduttrice di forme e formule socialmente condivise.

- La scuola sognata, pensata, fatta da Don Milani, da Gianni Rodari, Danilo Dolci, e insieme a loro da migliaia di educatori veri, in Italia, negli ultimi decenni, va sognata, pensata, fatta, ancora, ogni giorno, e occorre, ancora, stare da una parte, e resistere, e dire che la nostra idea di scuola ha un uomo, al centro, ha l'uomo, al centro, la nostra idea di scuola non si può spiegare a parola, non si può vedere o ascoltare, si può toccare, solo toccare, se si ha coraggio.

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